IL GARDA, UN TRIATHLON E LO SPRITZ CON PATATINE
Una spedizione al Kuota Triathlon di Peschiera del Garda per sfidare e ritrovare vecchi amici della triplice, dimenticandosi, per un giorno, che l’allenamento non è un optional. Tra nuoto, bici e corsa raccontiamo un evento che ha visto 1.200 triatleti al via.
Da quando vivo in questa nuova casa, mi sono accorto di avere un processo rituale ogni mattina prima della gara. Appena mi sveglio vado in bagno, e prima ancora di alzare la tavoletta, guardo attraverso le griglie delle persiane: sono piegate verso il basso quindi posso vedere solo il cortile della casa di fronte. L’umore della giornata dipende proprio da quel primo sguardo verso il basso: se vedo il porfido del cortile bagnato di pioggia ho sempre la tentazione di tornare a letto. L’altra mattina, per esempio, il cortile di fronte a casa mia era una grande pozzanghera. Bene, proprio le condizioni giuste per affrontare l’unico triathlon della stagione.
Inizia così la mia giornata al Kuota Trio di Peschiera del Garda, gara che peraltro conosco già per avervi partecipato due anni fa, e che non rappresenta più una sorpresa, ma che confermerà, come si vedrà più avanti, che il triathlon è una cosa seria e che non si improvvisa. In che senso, dirà qualcuno. Nel senso che un olimpico può essere interpretato da persone allenate che cercano conferme sulla correttezza della loro preparazione, oppure da persone a cui la gara conferma che di preparazione ce n’è stata proprio poca. Ecco, io appartengo al secondo gruppo. Il viaggio da casa a Peschiera trascorre in autostrada sotto una bomba d’acqua, ma chissà come, svanisce nei pressi del lago: vuoi vedere che si fa una gara asciutta?
Ma questa non è l’unica domanda, perché il perché, nonostante la scarsa preparazione, io mi ritrovi avvolto in una muta di neoprene con i piedi bagnati nell’acqua del Garda in attesa che parta la mia batteria, resta per me un mistero. Però non ci penso poi molto, e quindi al suono della sirena mi butto in acqua a prendere sportellate a destra e a sinistra, botte distribuite lungo i 1500 metri della prima frazione di nuoto, accorgendomi che quelle quattro uscite in mare, fatte nelle mie vacanze siciliane, sono state davvero poca roba. Anzi niente. Me ne accorgo quando nuotando si entra dal porto nel canale dei bastioni di Perschiera: l’uscita è lì a cento metri, io nuoto le ultime bracciate e l’uscita resta sempre lì, a cento metri. Trentuno minuti per fare un chilometro e mezzo di nuoto mi sembra davvero tanto, ma è quello che passa il convento.
Raggiungo la zona cambio (che i più fighi chiamano T1….) per la seconda frazione in bici, e litigo con la muta che non vuole lasciare i miei piedi. Infilo casco e occhiali e mi getto fuori dal parco chiuso. Una volta in bici le mie gambe mandano messaggi del tipo ‘sicuro di voler fare 40 km in bici? Sicuro sicuro???”. In realtà dopo una decina di minuti necessari per lasciare il paese e avventurarci tra le colline moreniche a sud del Garda, trovo un ritmo inaspettato. Qui sono tutti mangia e bevi, e ricordo che due anni fa non ci avevo capito un accidente. Raccolgo altri cadaveri come me a cui propongo di fare trenino, ma il concetto di cambi regolari non sembra essere conosciuto dai miei compagni di viaggio. C’è chi dopo essere stato mezz’ora a ciucciare la ruota scatta a tutta alla prima discesa per poi piantarsi alla successiva saltella. Altri invece collaborano con trenate di dieci, quindici a volte venti secondi. Sai che roba.
Dopo decine di su e giù finalmente si rientra in peschiera e mi fiondo nella T2 (….avevo proprio voglia di scriverlo). Finita la gara trovo il mio tempo in bici di un’ora e 14 minuti: la media segna qualcosa intorno ai 31 km/h. Conoscendo le condizioni dei miei piedi opto per indossare i calzini nella frazione di corsa, scelta che si rivelerà azzeccata per evitare una vescica che puntualmente si presenta ogni qualvolta corro a piedi scalzi. In realtà la scelta tecnica del calzino nasconde la vera grande lacuna: a parte una uscita col cane fatta settimana scorsa, non corro da metà agosto. Non lo dico a nessuno perché faccio fatica persino io a crederci. Mentre corro capisco che al di là delle mura si forma il podio maschile con il giovane Franco Pesavento che finisce con un tempo di 1:53:54 che anticipa, dirà il comunicato stampa ufficiale, Sergiy Kurochkin per soli tre secondi, mentre la terza piazza spetta a Gabriele Salini con meno di un minuto di distacco.
Intanto continuo a correre. Il supplizio del running viene alleggerito dal tifo di una moglie (la mia), di un’altra moglie (quella del mio amico Tony) e da due amici (miei e di Tony). C’è anche tempo di dare una occhiata alla gara femminile, con Federica Parodi prima in 2:13:18 davanti a Renate Forstner e terza Valentina Tagliabue. Io invece, porto a casa questo diecimila in poco più di 51 minuti, consapevole che la fase aerea della mia corsa non esiste più da diversi anni, e la video analisi serale del film girato dalla consorte non fa che abbattere ulteriormente la mia autostima. Alla fine il cronometro dice di aver chiuso il TriO Peschiera in 2 ore, 42 minuti e briciole, cinque minuti in meno di due anni fa, ma questo di certo non può consolare il mio orgoglio ferito.
E così, con la intima soddisfazione di aver fatto un altro triathlon, di aver riso e scherzato col Tony, di aver abbracciato il Frankino, e di aver stretto la mano a Max e Andrea, di aver chiacchierato con Mirco, insomma, di aver rivisto gli amici, decidiamo di chiudere la giornata con un prosecco fresco e quattro patatine in riva al lago, perché certi scampati pericoli ipotizzati da cortili bagnati e pozzanghere d’asfalto, vanno festeggiati a modo. Viva.
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