Si vince e si perde una medaglia olimpica per qualche centesimo. Frazioni di secondo che possono cambiare la vita sportiva di un nuotatore. Siamo andati a Londra a scoprire i segreti del nuovo costume che indosseranno gli atleti della scuderia Speedo: un concentrato di tecnologia dove in pochi centimetri quadrati hanno lavorato oltre 300 atleti. L’emozione di tuffarsi in acque a cinque cerchi.
Il posto è da brividi olimpici, l’atmosfera da presentazione ufficiale. Ad accoglierci all’Aquatic Center splendidi sorrisi britannici. «Welcome guys, welcome to the Speedo presentation». Sullo sfondo la piscina che quattro anni fa ospitò i Giochi Olimpici di Londra: ora è un tempio del nuoto aperto al pubblico con stuoli di ragazzi che vengono a pregare e ad allenarsi, qui dove nel 2012 talenti dell’arte natatoria hanno aperto le porte del mito. Tra questi anche Michael Jamieson l’unico inglesino a essere salito sul podio per una medaglia d’argento, che se non fosse stato per Michel Phelps, avrebbe luccicato color del sole, e si sa che qui nel cielo plumbeo della city, il sole vale doppio. «Lavorare con Speedo Aqualab è davvero stimolante: tu hai un’idea e loro ci lavorano sopra e poi ti rendono partecipe dello sviluppo di un prodotto» e quando questo vede la luce, è come se la Rolls Roice mettesse in concessionaria un nuovo modello a cui hanno contribuito 330 atleti provenienti da 26 nazioni. Una specie di multinazionale della ricerca applicata al nuoto.
Passata la sfuriata dei costumoni che negli anni 2009 e 2010 ha demolito record mondiali al botto di uno o due al giorno, la FINA ha preso in mano la situazione chiudendo le maglie operative al regolamento e costringendo le aziende a ritornare a costumi realistici: jammer per gli uomini, completo a tutta coscia per le donne. E con un campo così ristretto, la ricerca e sviluppo di un’azienda in che direzione poteva andare? «Nella direzione della cura dei dettagli – ci spiega Tim Sharpe di Speedo Aqualab – perché questi ragazzi si giocano una medaglia olimpica per una manciata di centesimi, e noi lavoriamo su quelli».
Come ci lavorano è presto detto. Nel caso del nuovo LZR Racer X è un concentrato di tecnologia dove la ricerca di tessuti è sempre più esasperata, perché ogni singola fibra deve essere posizionata in un preciso punto del corpo del nuotatore. Il nuovo costume da gara Speedo riesce a combinare l’optimum tra compressione muscolare, costruzione a panneli, sensibilità e supporto. «Ciò che sento è la migliore stabilità del bacino che mi consente di avere le gambe più alte mentre nuoto» mi confessa Kilian, un ragazzotto tedesco con un passato da agonista e due spalle così che raccontano ore e ore trascorse a fare su e giù per le corsie di una piscina. È qui spedito a Londra in qualità di inviato della rivista swimssport e si capisce che ne mastica. A bordo pista James mi illustra la Dual Construction che permette il matrimonio tra il tessuto LZR Racer CompreX per la compressione muscolare sulle gambe, con il LZR Racer PulseLite sul resto del corpo. «No compromise» mi dice James, qui non si fanno inciucci, soprattutto in vista delle Olimpiadi, dove questo costume indossato da americani e tanti altri, dovrebbe farsi notare, anche per le grafiche che sono riusciti a ottenere su tessuti non facili da abbellire. E l’aspetto estetico non è fattore secondario. «Se sai che indossi un capo tecnologicamente avanzato rispetto a quello dei tuoi avversari, sali sui blocchi con un vantaggio psicologico da ti fa fare la differenza» e chi parla è Jamieson.
E allora iniziamo questo Media Clinic e andiamo a testare questo gioiello di tecnologia, con la prima delle sorprese di giornata. A vestirci viene con noi una assistente Speedo che ci “aiuta” nel processo: «Servono quindici minuti per indossarlo, anche venti, e se usate questi guanti, fate prima». Sono bianchi, con le dita siliconate. Fanno presa sul tessuto. Mi sembra una mission impossible: porto la taglia 50, ma la perfida con metro da sarta in mano, mi misura cosce e bacino, e sentenzia: «Mhmm, size 48…!!». A guardarlo sembra il costume di Big Jim! Il colore scelto è il purple, violetto fucsia, poco discreto, ma molto cool. Nello spogliatoio io e gli altri giornalisti presenti all’evento emettiamo versi di dolori, suoni di sofferenza, muggiti da sforzi, ma alla fine con quella pazienza che non si trova nella confezione, riusciamo a compiere l’opera. Confermo: 18 minuti esatti per indossarlo! E sono sfinito. Infilo gli occhialini e mi tuffo nell’acqua di Londra.
Continuo a nuotare cercando di stancarmi, perché è quando sei provato che la
tecnica ti viene in soccorso, e se non ci pensa la tecnica allora sono i materiali che fanno la differenza. Nella battuta di gambe, il mio lato debole, avverto un miglioramento perché in modo naturale la spinta verso l’alto parte proprio dal bacino. È un aiuto impercettibile, ma come spesso succede, questi contributi moltiplicati per 800 o 1.500 metri possono fare la differenza: «Anche in una finale di 100 metri possono decisivi – mi corregge Tim – perché sui blocchi di partenza tu l’indossi, gli altri tuoi 7 avversari no!». Lapidario. Risoluto. Le medaglie si vincono anche così, con la psicologia dei vantaggi. Io la chiamerei (com)pressione olimpica.
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