A REDONA UNA PISTA CICLABILE NON S’ERA MAI VISTA
Il quartiere di Redona è il mio quartiere. Sono nato qui più di 50 anni fa. Qui sono nato e qui sono cresciuto. È un quartiere di periferia, e fino agli anni 80 c’erano un sacco di campi e prati, ma poi uno sviluppo edilizio liberalizzato ha fatto sì che dal centro di Bergamo ai primi paesi della Val Seriana si sia creato un abitato unico senza soluzione di continuità. Io, oltre modo, sono nato agli estremi del quartiere, periferia della periferia: la via Martinella. Lì i pullman dell’ATB non ci sono mai passati, e per noi della Martinella la bicicletta era il mezzo che ci connetteva alla civiltà. A pensarci bene non c’erano (e non ci sono nemmeno adesso) i marciapiedi, e quando hai 10 anni e devi andare a scuola in bici, quelle strade erano oggettivamente un bel rischio. Ma se sono qui a scriverlo, è perché mi è andata bene. Il percorso era facile: in fondo alla via Martinella c’era l’incrocio con via Corridoni, la strada della vita, dove tutto si svolgeva con il tabaccaio, il minimarket del VeGé, l’Agip, il calzolaio, la cartoleria, un paio di parrucchieri per uomo e tre per donna, e una manciata impressionante di bar. C’erano più caffè in quel tratto di strada che in tutta Montmartre. Oggi c’è passato anche Il Lombardia.
Io venivo da lá, dai confini del mondo, dalla Martinella, ma la vita era tutta qui, e nella vita mi ci buttavo appena potevo con la mia bici. La mia bici era una Legnano da cross, con due molle finte inserite nelle forcelle e la sella lunga. L’avevo comprata con i risparmi delle mance di Natale: avrei voluto una Saltafoss, il vero desiderio di tutti maschietti, ma è proprio allora che ho conosciuto per la prima volta il significato della frase “non c’è budget a sufficienza“. Alla fine, a me, la mia Legnano sembrava comunque una Ferrari, e la usavo tutti i giorni per andare e tornare da casa, scuola, oratorio e scoprire tutte le strade lì intorno. C’andavo anche al campetto dietro il Bonaldi: lì giravano le motocross, quelle vere, mentre noi giocavamo a fare i piloti, girando il polso destro verso il basso e contemporaneamente fare mmmeeehhhmmm con la bocca.
Tutto ‘sto pippone per dire una cosa: l’altro giorno lungo la via Corridoni di Redona, hanno disegnato sull’asfalto delle strisce bianche tratteggiate e ogni cento metri c’hanno messo anche il simbolo di una bicicletta.
Una pista ciclabile? No, è una bella cosa, ma non è una pista ciclabile. Le piste ciclabili sono un’altra cosa, sia chiaro: si faccia un giro in nord Europa per capirne il significato di pista ciclabile. E per farle non è sufficiente spennellare per terra quattro strisce: anche in città come Copenaghen o Amsterdam per stimolare la mobilità con la bici hanno dovuto ripensare alla città stessa. È qualcosa di più complesso che stampare linee bianche sull’asfalto. Quindi che cosa hanno fatto in via Corridoni? Semplice: non hanno fatto una pista ciclabile, ma “una cosa che ricorda agli automobilisti, camionisti e motociclisti il diritto all’esistenza di chi ha scelto la bicicletta per spostarsi e che vorrebbe tornare a casa per raccontare com’è andata la giornata“.
Lo so, è una definizione un po’ lunga ma mi serve per dire che se avessi ancora la mia Legnano da cross, ci pedalerei sopra felice per andare a scuola e all’oratorio per giocare a palla guerra, oppure con gli amici a bere una gazzosa. Magari oggi berrei uno Spritz per brindare al primo tentativo di ciclabile a Redona, il mio quartiere.
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